mercoledì 7 novembre 2012

proclama di Diaz

Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12
La guerra contro l'
Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.

La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita.

La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.

Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.

Il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Diaz

martedì 21 febbraio 2012

Zio Vanja di A. Cechov

Astrov: una donna può essere amica di un uomo solo con questa consequenzialità: prima conoscente, poi amante, e infine amica.
Vojnickij: filosofia volgare.
Astrov: come? Sì ... bisogna riconoscerlo: sto diventando volgare. Vedi, sono anche ubriaco. Di solito bevo così solo una volta al mese. Quando mi trovo in queste condizioni, divento maligno e insolente al massimo grado. Allora me ne infischio di tutto! Affronto le operazioni più difficili e le risolvo brillantemente; traccio i più sconfinati piani per il futuro; in queli momenti non mi vedo più come un balordo e credo che sarò portatore di un ... immenso vantaggio all'umanità! In quei momenti ho un mio sistema filosofico personale, e voi tutti, fratellini, mi sembrate coleotteri ... microbi ... (a Telegin). Suona, Cialdone!

(atto II)

Ivanov di A. Cechov

Lebedev: ... la gioventù di oggi, sia detto senza offesa, è, come dire, acerba, stracotta, che Dio la benedica ... non sanno ballare, né discorrere, né bere come dio comanda ...
Avdot'ja Nazarovna: Beh, a bere sono tutti maestri se solo gliene si dà ...
Lebedev: saper bere non è poi un gran ché, anche un cavallo sa bere ... ma è a bere con arte che ti voglio

(atto II, scena III)

Sasha: Nikolaj Alekseevic, vi capisco. La vostra disgrazia è quella di essere solo. Bisognerebbe che accanto a voi ci fosse una persona che voi amaste e che vi capisse. Solo l'amore potrebbe rinnovarvi.
Ivanov: non ci mancherebbe che questo, Surocka! Che io, un vecchio galletto spennacchiato, intrecciassi una nuova storia d'amore! Proteggimi o dio da una sciagra così! No, mia cara ragazza, non è l'amore che conta. Parlo come davanti a dio, sopporterò tutto: l'angoscia, la psicopatia, la miseria, la perdita della moglie, la mia vecchiaia precoce, anche la solitudine, ma non sopporterò, non tollererò la derisione di me stesso. Muoio di vergogna al pensiero che io, uomo sano e forte, mi sono trasformato in un Amleto, in un Mefistofele, in un uomo inutile ...

(atto II, scena VI)

mercoledì 11 gennaio 2012

Sulla strada maestra di A Cechov

Fedja: Bevi, signore, offro anch'io! (getta una moneta sul banco). Se bevi, muori e se non bevi, muori lo stesso! Senza vodka si sta bene, ma con la vodka, accidenti, si sta meglio! Quando si beve anche il dolore non è dolore ... Riscalda!
Borcov: Uuuh! Brucia!

lunedì 23 maggio 2011

Danza di morte di Strindberg

Alice: vuoi bere qualcosa, Kurt?
Kurt: non ancora, grazie.
Capitano: non sarai diventato per caso ...
Kurt: solo un po' moderato.
Capitano: in America?
Kurt: sì.
Capitano: io preferisco la smoderatezza, altrimenti è la fine. Un uomo deve reggere l'alcol.
(Parte prima)

Kurt: dì, hai fame?
Capitano: sempre.
Kurt: ti va qualcosa di leggero?
Capitano: no, voglio qualcosa di sostanzioso.
Kurt: sarebbe la tua fine.
Capitano: non basta il male, ci vuole anche la fame.
Kurt: è inevitabile.
Capitano: e niente bere né fumare. Ma allora non vale la pena vivere.
Kurt: senza sacrifici non tieni a bada la morte.
(Parte prima)

Kurt: hai notato come se n'è stato buono, ieri? Da quando ha smesso di bere è diventato un altro: calmo, riservato, ragionevole ...
Alice: certo. Se quell'uomo si fosse sempre moderato sarebbe stato un bel pericolo per l'umanità. E' una fortuna che si sia reso sempre ridicolo e impotente col suo whisky.
Kurt: il demone della bottiglia l'ha punito ...
(Parte prima)

domenica 1 maggio 2011

Ibsen: Quando noi morti ci destiamo

Maja (congiungendo entrambe le mani): ma perché non possiamo andare ognuno per la propria strada?
Rubek (fissandola con aria di sorpresa): lo vorresti?
Maja (alza le spalle): sì, se così deve essere ...
Rubek (in fretta): ma questo non deve essere! C'è una via di mezzo!
Maja (con l'indice teso): ora tu pensi nuovamente a quella signora pallida!
Rubek: ebbene sì, se devo essere sincero con te, penso continuamente a lei, dal momento in cui l'ho riveduta! (Facendo un passo verso Maja): ora è necessario che ti faccia una confessione ...
Maja: parla!
Rubek (percuotendosi il petto): qui dentro, vedi ... c'è un piccolo scrigno chiuso, dove sono conservati tutti i miei sogni d'artista. Dal giorno in cui quella donna scomparve senza lasciare una traccia dietro di sé, il coperchio si chiuse. E lei ne teneva le chiavi!

H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II


Rubek (con fierezza): io sono un artista, Irene ... e non mi vergogno delle mie debolezze. Giacché io, vedi, sono nato artista e non sarò mai altro che artista.
Irene (lo guarda, simulando un sorriso amaro e gli dice con dolcezza): tu sei un poeta, Arnold! (accarezzandogli leggermente i capelli) Ma è possibile che tu, o caro, grande e vecchio fanciullo, non possa comprenderlo!
Rubek (con aria di disgusto): perché mi chiami poeta così insistentemente?
Irene (spiandolo con gli occhi) perché, caro mio, in quella parola si trova una scusa, una assoluzione, che stende un velo su tutte le tue debolezze.

H Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II

Rubek (cambiando discorso): non saresti disposta ad accompagnarci e a venire ad abitare con noi in quella villa?
Irene (fissandolo con un sorriso sprezzantee): con te ... e con quella donna?
Rubek (insinuante): con me ... come negli antichi tempi della mia vita operosa; ... per aprire tutte quelle porte che si sono chiuse nel mio cuore? Non verresti?
Irene (scuote il capo): non possiedo più le chiavi del tuo cuore, Arnold!
Rubek: tu ... tu solo possiedi quelle chiavi! (con accento supplichevole) Aiutami a vivere ancora una volta la vita!
Irene (immobile come prima): sogni vuoti! Sogni oziosi! Sogni morti! Dalla nostra vita in comune non può sorgere nessuna Resurrezione!
Rubek (in tono brusco): e allora accontentiamoci di continuare ancora i nostri giochi.
Irene: sì, continuiamo a giocare ... a giocare ... soltanto a giocare!

H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II

Il Piccolo Eyolf di Ibsen

Rita: ... perché a lungo andare questa situazione è insopportabile! Oh, trovare qualcosa che ci faccia dimenticare!
Allmers (scuotendo il capo): che cosa potrebbe essere?
Rita: non so ... un lungo viaggio?
Allmers: partire? Proprio tu che sei a tuo agio solo a casa tua?
Rita: allora vedere molta gente. Gettarci in una vita che distragga e stordisca.
Allmers: una vita simile non si adatta ai miei gusti ... no ... piuttosto preferirei riprendere il mio lavoro.
Rita (in tono aspro): il tuo lavoro? Quel lavoro che come un muro s'è alzato tra noi due?
Allmers (la guarda fisso e dice lentamente): ci sarà sempre un muro tra noi due, ormai.
Rita: perché dici questo?
Allmers: chi può sapere se i grandi occhi del bambino non ci guardano notte e giorno?
Rita (rabbrividendo, sottovoce): Alfred ... è orribile questo pensiero!
Allmers: il nostro amore è stato come fuoco che divora. Bisogna che sia spento ...
Rita: che si spenga!
Allmers: è già spento ... in uno di noi.

H. Ibsen, Il piccolo Eyolf, atto II